domenica 9 febbraio 2014

Con la lira i treni viaggiavano in orario

Più ci si avvicina alle elezioni europee e più aumentano le critiche e le accuse all'euro quale fonte principale della crisi che ci ha coinvolti. Tra le argomentazioni che mi lasciano davvero perplesso vi sono quelle espresse da alcuni economisti che ripetono spesso che con l'euro l'economia europea e italiana in particolare si sono avviate verso un declino annunciato, mentre quando avevamo la lira tutto procedeva bene: il Paese cresceva, la disoccupazione era bassa, i consumi erano alti, si comprava ogni genere di bene e gli italiani insomma vivevano sereni. In particolare affermano che il declino sarebbe iniziato quando la politica monetaria è stata affidata interamente alla nostra banca centrale e dal momento in cui è stata resa del tutto indipendente dal governo. Ma è davvero così?
Vediamo allora di ricordare alcuni passaggi storici dal dopoguerra ad oggi e cerchiamo di capire quanto di vero ci possa essere.

L'Italia è uscita dalla seconda guerra mondiale gravemente danneggiata e la nostra economia di quell'epoca era prevalentemente incentrata sull'agricoltura, tra l'altro con un livello di inefficienza dovuta all'elevato numero di proprietari terrieri che possedevano ciascuno superfici coltivabili non molto ampie, infatti circa l'80% dei terreni erano di proprietà di circa 2,5 milioni di piccole aziende agricole di cui la maggior parte di dimensioni inferiori ai 5 ettari.

Dal 1947 al 1951 grazie al piano Marshall (e non stampando lire!) si è dato sostentamento alla agricoltura e si è iniziato ad investire negli altri due settori che poi saranno il vero motore della crescita a partire dagli anni '60: l'industria ed il terziario. Questo sviluppo ha però riguardato soprattutto il nord del Paese e gli abitanti delle regioni meridionali si sono trovati loro malgrado a lasciare i luoghi di origine per trasferirsi al nord oppure all'estero in cerca di una occupazione. Si calcola che dal 1955 al 1971 sono stati almeno 9 milioni coloro che dal mezzogiorno si sono trasferiti nel settentrione, prevalentemente nel triangolo industriale Torino-Genova-Milano.

Nel 1955 venne siglato a Roma un accordo tra Italia e Germania per l'assunzione di emigranti italiani presso le aziende tedesche bisognose di manodopera. Saranno centinaia di migliaia se non qualche milione gli italiani che si recheranno all'estero (non solo in Germania), chi per pochi anni, chi più a lungo, chi si fermerà invece per sempre.
Insomma da una parte è vero che alcune regioni d'Italia hanno conosciuto un periodo di grande espansione economica dovuta alla ricostruzione post-bellica, alla diffusione di generi di consumo e di investimento privati (automobili, elettrodomestici, abbigliamento) o beni prettamente industriali come i prodotti siderurgici e chimici che faranno da traino per l'intera crescita economica nazionale, ma dall'altra vi sono ancora diverse regioni, quasi tutte nel mezzogiorno, che ne sono state escluse e questo ha costretto milioni di italiani a trasferirsi lontano dai luoghi di origine, quando va bene in altre regioni oppure all'estero. Anche il Veneto sarà coinvolto in questa fase di intensa migrazione all'estero, anche se oggi è una delle regioni più sviluppate del Paese, in quanto il 'miracolo economico' lo conoscerà più tardi rispetto alle regioni nord-occidentali, ovvero a partire dagli anni '70.
Se oggi ci lamentiamo quindi per il fatto che alcune migliaia di giovani lasciano il Paese alla ricerca di una occupazione, teniamo a mente che nel periodo che si vuol descrivere come 'florido' sono stati invece milioni.

Nonostante la crescita ed il buon andamento dell'economia lo Stato spendeva sempre più di quanto riceveva dalle entrate ordinarie e la differenza veniva compensata con l'emissione di moneta da parte della Banca d'Italia e questo ha comportato, unitamente alla intensa crescita economica, una impennata dei prezzi con un tasso di inflazione a due cifre, inflazione che come si sa colpisce maggiormente i redditi bassi ed in particolare i redditi da lavoro dipendente.
Se a guardare asetticamente i dati sembra che tutto procedesse positivamente, le cronache invece ci forniscono un quadro piuttosto diverso: disagio sociale, scioperi, manifestazioni a metà degli anni '60 e sfociati nell'autunno caldo del 1969 e poi nei ben conosciuti movimenti di protesta che prenderanno forma con l'arrivo degli anni '70, che daranno poi vita ai cosiddetti 'anni di piombo'.


Dal punto di vista sociale quindi la situazione non era certamente come la si vuol descrivere semplicisticamente oggi da parte di qualcuno, anche se è una tendenza naturale quella di rievocare nostalgicamente il passato cancellando gli episodi negativi ed enfatizzando quelli positivi.
E' indubbio che il Paese abbia attraversato un periodo di crescita sostenuta e di continui miglioramenti del livello di benessere, incremento che ci ha caratterizzato fino a qualche anno fa, ma questo cammino di crescita non è stato indolore ed è stato comunque caratterizzato anche da periodi difficili che oggi, seppur con la crisi che ci ha colpito, fortunatamente non si sono ancora manifestati.
Oggi la situazione è indubbiamente peggiorata rispetto a prima dell'avvento della crisi, questo è vero, ma per uscirne occorre individuare le giuste cause, non lasciarci prendere da facili slogan propagandistici e accuse assolutamente prive di fondamento.

La politica monetaria dell'Eurozona può anche avere delle responsabilità, ma le accuse rivolte oggi alla BCE, alle istituzioni politiche della UE ed in particolare alla moneta unica adottata ad inizio millennio sono del tutto irragionevoli ed il semplice ritorno ad una moneta nazionale non risolverebbe certo la situazione.
Fino al divorzio della Banca d'Italia dal governo nel 1981, divorzio che ha sancito la fine dell'obbligo di acquisto da parte della nostra banca centrale dei titoli di Stato emessi dal Tesoro per coprire i deficit di bilancio, l'inflazione come scritto prima era a livelli molto alti e solo successivamente grazie a questa separazione e ad una nuova fase di politica monetaria è scesa a livelli ragionevoli con il plauso di tutti, cittadini ed economisti.
Sono scesi anche i tassi di interesse, sia quelli dei rendimenti dei titoli di Stato che quelli sui prestiti alle imprese o dei mutui alle famiglie. Di questi benefici sembra che ce ne siamo dimenticati.

Lo Stato però anzichè operare una spesa pubblica virtuosa e mirata a bisogni concreti dei propri cittadini (sanità, istruzione, cultura, welfare), ha lasciato per molto tempo che questa crescesse anche a seguito di norme del tutto contrarie al buon senso (calcolo della pensione con sistema retributivo, età del pensionamento troppo bassa) e spesso oggetto di sprechi e malaffare, in particolare, come la cronaca recente ci sta raccontando, nelle amministrazioni locali. Non ha sfruttato il calo dei rendimenti dei titoli di Stato e così in pochi anni abbiamo portato il livello del debito pubblico ben oltre la ricchezza prodotta. Con l'ingresso nell'eurozona, grazie ai limiti imposti dai trattati, siamo stati costretti a fermare questa folle crescita (o quantomeno a limitarla). Subito dopo l'ingresso nell'euro gli interessi che abbiamo pagato sui titoli di Stato sono stati molto simili a quelli tedeschi, titoli giudicati tra i più affidabili.

Fino all'avvento della crisi finanziaria del 2008 ben pochi avevano da dire contro l'euro, tranne indirettamente per l'aumento indiscriminato di alcune categorie di prodotti, dovuto però ad un comportamento scorretto da parte di alcuni operatori economici che hanno approfittato della poca domestichezza degli italiani con i decimali e con importi decisamente più bassi rispetto a quelli a cui si era abituati.

Le nostre esportazioni hanno continuato a crescere e oggi hanno raggiunto livelli mai ottenuti prima e se non fosse per questo molte aziende sarebbero in condizioni peggiori visto che il problema italiano riguarda il mercato interno, ovvero la scarsa domanda da parte delle famiglie italiane, la cui causa va vista altrove e non nella moneta che adoperiamo.

In conclusione prima di affermare che durante gli anni della lira erano tutte rose e fiori occorrerebbe ripassare un po' di Storia e prima di illudere gli italiani che è sufficiente cambiare moneta per uscire dalla crisi tornando a crescere a ritmi sostenuti, sarebbe opportuno integrare tale tesi con argomentazioni concrete e convincenti invece di sbandierare semplicemente grafici relativi ad un contesto storico molto diverso da quello in cui ci troviamo oggi.

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